sabato 1 settembre 2007

Memorie di un soldato bambino

Eccoci, tornata dalle vacanze mi accingo a scrivere anche le mie personalissime *recensioni* sulle mie letture. Cominciamo da questo libro che ho deciso di leggere dopo aver visto la sua presentazione, con l'autore, a "Che tempo che fa" di Fabio Fazio.

Trama:
Il 1993 è appena iniziato in Sierra Leone e a Mogbwemo, il piccolo villaggio in cui vive il dodicenne Ishmael, la guerra tra i ribelli e l'esercito regolare, che insanguina la zona del paese più ricca di miniere di diamante, sembra appartenere a una nazione lontana e sconosciuta. Di tanto in tanto nel villaggio giungono dei profughi che narrano di parenti uccisi e case bruciate. Ma per Ishmael, suo fratello Junior e gli amici Talloi e Mohamed, quei profughi esagerano sicuramente. L'immaginazione dei ragazzi è catturata da una cosa sola: la musica rap. Affascinati dalla "parlata veloce" di un gruppo americano visto in televisione, i ragazzi hanno fondato una band e se ne vanno in giro a esibirsi nei villaggi vicini. Un giorno, però, in cui sono in uno di questi villaggi, li raggiunge la terribile notizia: i ribelli hanno attaccato e distrutto Mogbwemo. Ishmael non vedrà più casa sua e i suoi genitori. Perderà Junior. Fuggirà nella foresta, dormirà di notte sugli alberi, sarà catturato dall'esercito governativo, imbottito di droga, educato all'orrore, all'omicidio, alla devastazione. Il suo migliore amico non sarà piú il tredicenne Talloi ma l'AK-47 e la sua musica non più l'hip-hop ma quella del suo fucile automatico. Una testimonianza indimenticabile dal cuore dell'Africa, dove milioni di bambini muoiono di malattie curabili in Occidente e centinaia di migliaia sono mutilati o cadono in guerra.

«La prima confessione letteraria di un male atroce dei nostri tempi, quello dell'infanzia armata, drogata, plagiata, e mandata a combattere con la violenza indicibile che in queste pagine, e probabilmente anche nella realtà, appare per contrasto non premeditata e innocente».
Livia Manera, Il Corriere della sera

Definito "un libro destinato a diventare un classico della letteratura di guerra", è davvero tale. e fa male come tutti i libri di guerra. L'ho letto in poco tempo, ma confesso che a volte era così duro da dover interrompere la lettura e posare il libro. Ma visto che credo che chiudere gli occhi nella vita non faccia sparire le cose brutte, sono andata avanti. E poi sapevo, avendo visto l'intervista da Fazio, che c'era un *happy ending* (per quanto felice possa essere adatto in questo caso). Aggiungo inoltre che ero così presa dalla lettura dei fatti da non aver prestato attenzione allo stile della scittura, che pertanto mi pare debba essere semplice e scorrevole.
Non so se dire che è un libro da leggere, anche perchè dipende da ognuno di noi. Ma credo che il mondo sia anche questo...e non bisogna dimenticarselo.

Per approfondire: Peace Reporter
Dal sito Neri Pozza, la scheda

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